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Di freddo, misteri e aria natalizia.

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E finalmente è arrivato il freddo, anche qui a Roma. Quello che ti ghiaccia il naso e le mani. Quello che ti fa sognare una tazza di infuso caldo, la copertina e il divano. Quello che senti nell’aria che è in arrivo… Natale. Argh.

Quest’anno, per motivi che non mi sento di sciorinare qui, almeno sulla carta il mio dicembre lavorativo dovrebbe essere molto più light e più gestibile. Due giorni pieni e due mezze giornate a settimana, e stop. Non male, rispetto ai 24 giorni senza tregua fatti l’anno scorso.

Questo Natale lo aspetto con trepidazione, timore, curiosità e attesa. Sarà un Natale unico e speciale, lo so, me lo sento. Magari quest’anno non attiverò nemmeno la modalità Scroodge, tiè.

Sono cambiate tante cose in questi mesi, ma non è il momento di parlarne… tra un po’, ma non adesso.

Intanto mi preparo al mio vicino genetliaco (36 anni… porca puttana…….) e all’atmosfera natalizia. E poi… si vedrà.

 

Eye of tiger.

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Ormai è chiaro: sento l’esigenza, a volte, di staccarmi dal blog. Soprattutto d’estate, che non è certo la stagione che preferisco.

Ma eccomi qua: i miei post saranno pochi e laconici forse, ma che ci volete fare? Sono fatta così, nel bene e nel male.

Com’è andata l’estate? Bhè… è passata. Finalmente è autunno, più o meno. La nostra vita prosegue, novità grandi e piccole, scosse e scossette, ma noi siamo sempre qui.

E’ tempo della ripresa: lenta, un po’ diesel.

Ieri ero con il Boccolone, e abbiamo sentito questa: secondo me porta fortuna. Per cui la lascio a tutti voi, se c’è qualcuno che ha ancora la pazienza di seguire i miei sproloqui. Per avere il coraggio di prendere davvero in mano la propria vita, guardare in faccia i mostri e le paure, e affrontarli. Che sia di buon auspicio per tutti… per tutti quanti!

Pippe estive.

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Non so da voi, ma qua a Roma ci si squaglia di caldo. Roba che la mattina sono contenta di venirmi a fare le mie 11 ore di lavoro perchè il negozio ha un magnifico condizionatore al quale mi attacco come un koala all’eucalipto.

A questa estate sono arrivata abbastanza stremata, reduce da un anno assurdo, dal superlavoro di dicembre, dal trasloco e da tremila altri cazzi, piccoli e grandi, che mi hanno sfiancata.

E così a ratti passi si avvicinano le agognate FERIE.

Non sono in programma viaggi purtroppo: il trasloco ha prosciugato le nostre finanze per cui ce ne staremo a casa. Chissà che non troviamo il tempo di finire quelle millemila cose in sospeso, tipo appendere il lampadario della cucina o l’asta della doccia (se un signorino a caso si riconoscesse nelle mie parole e volesse darsi una mossa, farebbe sua moglie molto felice).

Questo stato di indefinitezza, di incompiutezza, mi urta da morire. Sapevo che un trasloco finisce diverso tempo dopo l’effettiva trasmigrazione degli scatoloni, ma così è un po’ troppo però.

Programmi per le vacanze dunque. Sistemare casa, fare qualche puntatina al mare di mattina presto per venircene via prima di pranzo ed evitare così la bolgia e il caldo infernale, concederci qualche passeggiata serale, un cinema, una pizza. Niente di che. Ma per chi, come me e il Boccolone, si vede con le ore contate, è un regalo immenso. Vorrei riprendere a fare le cose che amo, ma devo essere onesta: la combinazione caldo+anemia mi stronca ogni entusiasmo. Niente cucina, niente ricamo, niente maglia o uncinetto (nei quali continuo ad essere una pippa ma non mi arrendo!). Niente di niente. Che palle.

Spero che questa estate passi presto per un sacco di motivi. Non vedo l’ora sia settembre, ottobre, quando per me in qualche modo si ricomincia un po’ tutto. Intanto contiamo i giorni e ce li facciamo scivolare via.

Anemic summer, ovvero l’estate di Biondanemica.

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Diciamolo: l’estate non è il mio “magic moment”. E invece anche quest’anno, infingarda, è arrivata.

Vabbhè, facciamocene una ragione.

Ormai siamo più o meno sistemati nella nuova casa. Si stimano 6 cartoni residui, e sembra incredibile, non riesco a trovare il tempo di metterli a posto (anche perchè contengono quelle classiche cose che in una casa non sai mai dove mettere, diciamocelo).

Adesso ci dedichiamo alle rifiniture, a quelle cose che rendono casa più “nostra”… tipo non so, il tavolo per mangiare, che abbiamo preso questa settimana.

Io? Io sono entusiasta di questa nuova sistemazione ma ormai il fisico non mi assiste più. Urge, urge, urge, ma proprio urge prendermi cura di me stessa: cambio del medico, analisi e quasi certamente flebo di ferro, perchè ho raggiunto il colorito di un ectoplasma ormai. E soprattutto non ne posso più di sentirmi pronosticare svenimenti e tragedie varie. Giusto ieri sera borbottavo tra i denti, di fronte all’ennesima piattata di roba iperferrosa (bisteccona, lenticchie e the bancha da bere, il tutto con il Boccolone a supervisionare ogni boccone) che io il ferro dall’alimentazione non lo assimilo, che non ha senso farmi ingozzare di carne che poi mi sento pure male, e che “di anemia non è mai morto nessuno, sgrunf sbuff boff uff”.

“PER ORA”, tuona il marito.

Niente, non c’è scampo.

 

Post-post.

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Ed anche questo week-end tragiversario ce lo siamo lasciato alle spalle, e tutto sommato è scivolato via senza lasciare grossi danni. La strategia di riempire le ore a più non posso si è dimostrata valida: tra pranzi e cene con Chiara e famiglia, mobili ikea da montare smadonnando, e da riempire e sistemare e pulire, di tempo per “pensare” ne ho avuto poco. Certo, nei momenti di pausa la testa là andava… ma penso che qualche ora di dolore ci possa anche stare.

E c’è sempre il Boccolone, che senza stare tanto a parlare mi è stato tanto accanto. O forse ci siamo stati accanto a vicenda.

In una Roma infuocata come non mai (che io vorrei avere davanti a me tutti quelli che si lagnavano “ma quando arriva l’estateeeeeee???”, con un lanciafiamme tra le braccia, saprei bene come sfogarmi) ci siamo impegnati per superare questi giorni meglio possibile.

Oggi è martedì, sono di nuovo al lavoro: si va avanti.

Sei nell’anima.

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Un anno. Ieri sera il Boccolone mi diceva “Sembra successo ieri”. E’ vero. Le immagini sono ancora chiare, nitide, e temo nemmeno il tempo potrà scalfire certi ricordi.

Un anno fa, anche se tra qualche ora, scoprivo con un’ecografia di controllo del quinto mese che te ne eri andato da qualche giorno, come sospettavo.

Un anno fa, domani, mi ricoveravo e iniziava il vero incubo.

Un anno fa, dopodomani, nascevi già morto, e io avrei voluto solo poterti seguire.

Invece sono qua, ed è passato un anno. Sono qua per te, per il Boccolone, per tutti quelli che mi hanno aiutato. Sono qua soprattutto per me stessa, perchè ho scelto di vivere, sia come sia.

Sei nell’anima, e lì ti lascio per sempre… sospeso, immobile fermo immagine, un segno che non passa mai…

Questo week end si preannuncia tosto, e così l’ho riempito di cose da fare e persone meravigliose con cui passare il mio tempo. Ed è un caso, ma forse non lo è, che proprio lei fra tutti, lei che ha saputo aiutarmi e starmi accanto, verrà a Roma in questi giorni con la sua famiglia.

Piccole meraviglie Special Edition – Ciao Lapo 2013

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Dalla nostra inviata speciale, Rina la Tartaruga, abitante del laghetto di Villa Borghese.

“Un gruppo di persone eterogeneo, a prima vista “non classificabile”. Qualche donna in più rispetto al numero degli uomini.
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Si dividono del materiale di cancelleria: farfalle rosa e azzurre, pennarelli, forbici, nastri. Su una panchina tre donne (e un bassotto di nome Isotta) ritagliano, altri gruppetti gonfiano palloncini con la bombola che si sono trascinati dietro, tutti ad un certo punto scrivono qualcosa e poi attaccano le farfalle, piene di nomi di bimbi e di frasi d’amore per loro, ai nastri che poi legano ai palloncini, coloratissimi e numerosi.
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Sorridono, si commuovono, si confortano l’uno con l’altro. Si riuniscono in uno spiazzo libero dagli alberi, e sono le mamme a lasciar volare via quei colori.
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Li guardano allontanarsi nel cielo veloci, o impigliarsi nei rami e poi liberarsi aiutati dal forte vento. Ed eccoli tutti aprire borse e zaini, e dividere il picnic che hanno portato. Parlano di tutto, anche di quelli che altrove fanno finta di non provare, di non vivere.
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E dopo un caffè si allontanano e si sparpagliano per il parco, e attaccano ovunque quelle che chiamano “farfalleggere”: io da qua riesco a leggerne una, arancione, l’ha attaccata una ragazza dai capelli rossi che poi si è fermata a lungo ad osservarmi sorridendo. Volete sapere cosa ci ha scritto? Mmmmm vediamo…
La tua culla è il mio cuore’
Ormai si sono allontanati… Chissà chi erano, che tipi strani…”
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21 marzo.

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21 marzo, finalmente primavera, evviva.
Oggi ho aperto le finestre e ho respirato forte, cercando di riprendere un po’ di controllo su me stessa.
Oggi il Boccolone mi ha stretto forte.
Oggi ho deciso di fare un sacco di dolci, casa è tutta un profumo, perchè voglio riempirmi di cose belle, di sensazioni positive.
Oggi è il 21. Il 21-3. O 3-21. O trisomia 21. O sindrome di Down.
Oggi è la giornata mondiale della Sindrome di Down.
Qui trovate le iniziative in tutta Italia.
Vorrei essere più brava, più forte. Vorrei avere più coraggio ed esserci anche io, invece di nascondermi dietro un piccolo bollettino postale con su scritto “in ricordo di Nidhal Maurizio”.
Vorrei. Ma non lo sono. Oggi ricordare quelle sopracciglia alzate, i giudizi, le parole pesanti, mi fa pensare che dovrei fare qualcosa di un po’ più concreto, perchè l’ignoranza sulla SdD è immensa, e noi abbiamo avuto solo un piccolo assaggio di quello che il mondo pensa. Peró ricordo anche le mail di Chiara e quelle di Barbara, le telefonate e i messaggi con Valeria e con Francesca.
Vorrei saper trovare le parole giuste… Cancello e riscrivo da stamattina senza riuscirci. Io so solo, nel mio piccolo, che Nidhal non è Down. Lui aveva la sindrome, non lo era. Mi piace pensarlo come un bambino testardo come il papà e goloso come me. Lo immagino con gli occhi verdastri come i miei e la carnagione ambrata del Boccolone, magari ricciolino… So con certezza che era ed è mio figlio e ancora oggi mi butterei in mezzo all’inferno se potessi averlo qua con me.
E un altra cosa certa è che abbiamo avuto aiuto, conforto e soprattutto professionalità e preparazione dal personale di diverse associazioni facenti capo al Coordown. Scegliete un’iniziativa e sostenetela, oppure fate una piccola donazione: 5, 10 euro (o quel che è) non cambiano la vita, ma magari pemetteranno a 2 genitori confusi e terrorizzati, come lo eravamo noi, di trovare qualcuno che li accolga e dica loro che non sono due poveri pazzi egoisti nel voler proseguire la gravidanza, e gli spieghi anche il perchè.
Io peró oggi penso al mio piccolo Salamella, con le vertebre guizzanti e le manine perfette. E so che lui ci guarda e sorride.

Niente auguri.

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Vorrei essere stata così brava da averti chiamato ieri, e come ogni anno borbottarti un “tanti auguri”. Ma troppe cose sono successe, e in tutte queste cose tu hai avuto un brutto ruolo.

Da piccola i papà delle mie amiche mi lasciavano perplessa: ero così abituata a non averti con noi che trovavo strane le presenze di questi uomini, li guardavo sospettosa e diffidente. Non capivo proprio cosa ci stessero a fare.

Negli anni ho cercato di perdonare, di capire, di smettere di arrabbiarmi, soprattutto di smettere di credere che un giorno saresti diventato davvero un “padre” piuttosto che una presenza-assenza, pesante in entrambe le situazioni. Ho cercato di smettere di avere aspettative su di te. E’ triste no?

Evidentemente non ci sono riuscita, perchè ho commesso l’errore di cercare il tuo aiuto. E ovviamente non l’ho ricevuto. E ogni volta mi torna alla mente l’elenco delle tue mancanze. Mi hai lasciato da sola, letteralmente, nei momenti più bui. Mi hai detto che certe scelte non ti riguardavano, che erano problemi nostri, che non ti dovevamo coinvolgere. Hai manifestato disinteresse e indifferenza più volte, a più riprese, senza curarti minimamente di quello che ci succedeva. Mi hai negato aiuto, le poche volte in cui sono stata costretta a chiedertelo. Hai voltato le spalle, salvo poi tornare indietro per pretendere quello che non hai mai saputo guadagnarti: rispetto, stima, affetto. Non ti è dovuto nulla, sai? Men che meno a te.

“Dovresti perdonarlo”, mi dice il Boccolone. Ma che c’è da perdonare? Tu sei così, annodato su te stesso, e io non posso farti una colpa di essere ciò che sei. Non è rabbia, è semplice constatazione della verità.

Non c’è molto posto per te nella mia vita ormai. No, niente auguri per te. E non mi dispiace nemmeno più.